Il veterinario comportamentalista: chi è in realtà?, http://www.tipresentoilcane.com/2011/12/29...e-in-realta/#it

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orodoppio
view post Posted on 24/2/2012, 20:49     +1   -1





Scanno ferox”, nei giorni scorsi, tra Fabrizio Bonanno (allevatore, giudice e giornalista della rivista “Cani utili”), la FNOVI (Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani) e l’ANMVI (Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani).
Motivo?
Un articolo a firma dello stesso Bonanno, nella rubrica “L’osservatorio cinofilo”, in cui si sosteneva che la figura del veterinario comportamentalista non fosse “credibile, né accreditabile, perché non riconducibile ad una scuola di indirizzo specialistico“.
Partendo da questa premessa il Bonanno attaccava poi l’ordinanza Martini (attualmente sospesa) nei punti in cui chiamava appunto in causa i veterinari comportamentalisti.
Copincollo qui parte dell’articolo:

“(nell’ordinanza) si legge, tra l’altro, che “Il Comune, sentito il Servizio veterinario ufficiale, individua il responsabile scientifico del percorso formativo tra i medici veterinari esperti in comportamento animale (se già esperti, mi domando: CHI E IN BASE A CHE COSA li ha dichiarati tali?) o appositamente formati dal Centro di referenza nazionale per la formazione in sanità pubblica veterinaria istituito presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilio-Romagna”.
Sarebbe interessante conoscere da quando negli Istituti zooprofilattici si studia lo psicologia canina e chi sono i relativi docenti.
Nel prosieguo dell’Ordinanza in oggetto si legge: “I Servizi veterinari, in caso di rilevazione di rischio elevato stabiliscono le misure di prevenzione e la necessità dì una valutazione comportamentale e di un eventuale intervento terapeutico da parte di medici veterinari esperti in comportamento animale”. Siamo giunti nel regno dell’incredibile e dell’assurdo!
DOVE viene effettuata la valutazione comportamentale? In un box di un canile comunale? O nell’ambiente dove usualmente vive il cane? Con il cane al guinzaglio o libero? Oppure in luogo pubblico? In presenza del padrone o senza?
Come viene effettuato la valutazione? In base a quali parametri ? Se si tratta di una cane purosangue, siamo cosi sicuri che chi è chiamalo a valutarlo ne conosca Io standard caratteriale?
Per non parlare del non meglio precisato “intervento terapeutico”.
Ma di cosa si tratta? Forse della castrazione, nel caso di un maschio?”

Domande indubbiamente pressanti e pungenti: anche se la peggiore offesa, a giudicare dalle repliche, è stata quella di definire i veterinari comportamentalisti come “sedicenti” tali.

E infatti la FNOVI, nella persona del suo Presidente Gaetano Penocchio, ribatte: “Bonanno sembra non rendersi conto di quanto sia offensivo l’uso dell’aggettivo “sedicente”riferito a persone che prima hanno conseguito una laurea in Medicina Veterinaria e quindi un percorso lungo e faticoso, attestato dal riconoscimento internazionale di laurea magistrale; poi superato un esame di Stato di abilitazione professionale; infine seguito un percorso specialistico che si configura in varie modalità, ma che sempre e comunque prevede che le competenze acquisite siano verificate da Esperti in queste materie. (omissis). Infine, per potersi definire Veterinario Comportamentalista, il professionista deve essere iscritto all’Albo e aver esercitato la professione per almeno tre anni (cinque per alcune associazioni di esperti)“.
Penocchio continua prendendosela un po’ con tutti: dagli allevatori (“un esperto medico veterinario comportamentalista è in grado di distingere un comportamento previsto dallo Standard di razza da un’etopatia magari mantenuta dalla selezione: e Bonanno dovrebbe sapere quanto è pericoloso un test caratteriale che è un paletto per il ring di bellezza!“) agli addestratori (“troppo spesso vediamo cani che sono stati gestiti con una leggerezza che rasenta l’incoscienza, per esempio tutte quelle volte in cui un cane è stato avviato alla difesa e agli attacchi per “migliorare la sua sicurezza di sé”. E’ bene che si sappia che non sono rari quei casi in cui questi cani sono divenuti pericolosi”).

Ecco, questa è la storia, così come è stata riportata da diversi siti cinofili e non.
A me piacerebbe andare un pochino oltre e cercare di capire chi ha ragione…o meglio, quanta ragione possano avere entrambe le parti, visto che difficilmente le cose sono o tutte bianche, o tutte nere.

Innanzitutto è evidente che Bonanno dice il vero quando parla di un lavoro “non riconducibile ad una scuola di indirizzo specialistico” infatti non esiste, in Italia, una scuola di specializzazione in Scienze del comportamento.
Ho controllato sui siti di tutte le Università italiane che hanno la Facoltà di Medicina Veterinaria: quindi, a meno di una mia clamorosa svista, questa specializzazione non esiste nel nostro Paese.
Lo stesso Penocchio, d’altro canto, indica i seguenti come criteri con cui un medico veterinario viene definito “comportamentalista”:
a) essersi laureato e aver superato l’esame di Stato (ma questa è la descrizione di un medico veterinario “e basta”, non di un comportamentalista);
b) aver esercitato per tre anni… (definizione di un veterinario con una certa esperienza…ma ancora nulla che abbia a che vedere con il comportamento)…
e finalmente, c) aver “seguito un percorso specialistico che si configura in varie modalità, ma che sempre e comunque prevede che le competenze acquisite siano verificate da Esperti in queste materie“.

Purtroppo mi sembra di poter sostenere che questa parte sia po’ fumosa.
Infatti non si può parlare di un percorso realmente “specialistico”, non rientrando la materia tra i corsi delle scuole di specializzazione universitarie (e a questo punto mi sento anche di poter affermare che se questa scuola fosse sfuggita a me, avrebbe dovuto conoscerla – e quindi citarla – lo stesso Penocchio).
Ammettiamo comunque che si tratti di un percorso di formazione specifica nella materia: ma seguito come, dove, con quali modalità?
“Varie“, sostiene Penocchio.
Cioè?
Un corso organizzato da un’associazione? Da un’Università? Dall’Ordine dei Veterinari?
Sarebbe carino saperlo.
Così come sarebbe carino sapere chi sono gli Esperti (maiuscoli) che possono “verificare le competenze acquisite”.
Chi ha deciso che questi signori sono Esperti? Quale percorso hanno compiuto? Hanno seguito a loro volta “varie modalità” e sono stati giudicati competenti…da chi?
Incuriosita, sono andata a guardarmi il sito della SISCA (che è la sezione della SCIVAC – Società culturale italiana veterinari per animali da compagnia – che si occupa di comportamento, ovvero la Società Italiana di Scienze Comportamentali Applicate. Chi altri avrebbe potuto illuminarmi?).
Qui ho trovato indicate proprio le direttive della FNOVI per la formazione di un veterinario comportamentalista. Che riporto qua, testualmente:

La FNOVI (Federazione Nazionale degli Ordini dei Veterinari Italiani) ha definito le linee guida per potersi definire medico veterinario comportamentalista, per tutelare i clienti in merito alla preparazione dei medici veterinari che si definiscono tali (oh, oh! Che ci sia qualche “sedicente”? NdR). Requisiti indispensabili per la pubblicità dell’informazione sanitaria relativa all’esercizio professionale nell’ambito della medicina comportamentale: – Scuole di Specializzazione Universitarie (inesistenti in Italia, NdR); Master Universitari (inesistenti in Italia, NdR); certificazione attestante la partecipazione e la frequenza ad un corso di formazione teorico-pratico presso una scuola, con superamento di un esame finale.
Okay: ma quale scuola? La FNOVI ce lo spiega subito:

La scuola deve garantire i seguenti requisiti: – i docenti titolari/ordinari della formazione devono essere medici veterinari che abbiano nella materia di insegnamento gli stessi requisiti minimi richiesti per l’informazione pubblicitaria; salvo casi particolari di apporti di ulteriori competenze in riferimento alla didattica non prettamente clinica; – la scuola deve avere un minimo di tre docenti titolari e, comunque, la componente medico-veterinaria deve essere almeno di 2/3 del corpo docente; – monte ore 450 di cui almeno 100 di pratica clinica.
DOMANDA: esiste una siffatta scuola in questo Paese?
Nella replica dell’ANMVI si legge che “da 16 anni, la nostra Società scientifica attiva corsi di aggiornamento, con relatori italiani e stranieri sull’argomento, tenuti in Italia; da più di 25 anni esiste una disciplina della medicina veterinaria che si occupa di medicina comportamentale in Europa e nel resto del mondo occidentale. Senza contare l’enorme mole di bibliografia di riferimento”.
Dunque, sembrerebbe di capire che in Italia ci sono dei “corsi”, ma non una vera e propria scuola con i requisiti richiesti dalla FNOVI.
Che in Europa esistano altre possibilità è un dato di fatto, ma allora bisognerebbe specificare che il veterinario comportamentalista è colui che si è specializzato all’estero… cosa che peraltro non mi sembra molto frequente tra i comportamentalisti nostrani.
Che esista una corposa bibliografia in materia è un altro dato di fatto… ma, se mi è permesso, mi pare un po’ poco.
- Sei un veterinario comportamentalista? Bravo! Come lo sei diventato?
- Ah, ho letto un sacco di libri!
Dai, su… siamo seri.

Faccio notare che l’ANMVI, sempre nella sua replica a Bonanno, sostiene anche che “esistono, post lauream, una scuola di specializzazione e master di 1 o 2 livello che trattano di medicina comportamentale”.
Attenzione: “che trattano“!
Perché la scuola di specializzazione IN medicina comportamentale, sempre per quanto ci è dato di sapere, NON esiste affatto.
Esistono, invece, alcuni Master di secondo livello.
Ovvio che se uno segue, per esempio, la scuola di specializzazione in Patologia e clinica degli animali da affezione (questa esiste: ai miei tempi si chiamava “specializzazione in piccoli animali”, ma è sempre lei), qualche lezione sui problemi comportamentali, o etopatie che dir si voglia, la incontrerà di sicuro: mi auguro solo che non somigli all’esame di Etologia che ho sostenuto io, nel quale di cani non si parlava neanche di striscio, mentre ci si faceva una grandiosa cultura sulle abitudini sessuali delle farfalle.
Per fortuna mi dicono che in tempi più recenti (io ho fatto cinque anni di veterinaria – pur senza finire – e sono stati cinque anni di vacche e cavalli, con vaghissime apparizioni di cani qua e là: ma erano quarant’anni fa…) la facoltà si sia avvicinata un po’ di più al mondo dei piccoli animali: quindi è probabile che si tratti di comportamento canino.
Però mi sembra che l’ANMVI abbia giocato un po’ con i termini.

Comunque, torniamo al nostro documento, che prosegue con questi paragrafi:

Formazione – ulteriori requisiti:
- effettuazione di attività didattiche, anche non continuative, di Medicina Comportamentale;
- partecipazione a corsi formativi quali seminari, corsi intensivi;
- partecipazione a convegni sulla materia negli ultimi cinque anni.
Lo svolgimento delle attività sopradescritte dovrà essere documentato dagli enti erogatori.
Nei casi in cui gli Ordini ritengano sussistere una acclarata competenza e professionalità clinica del richiedente, possono valutare, in alternativa ai requisiti di cui ai punti 3 e 4 (quelli di cui sopra, NdR), il possesso di almeno tre dei seguenti requisiti:
- pubblicazioni inerenti la materia su libri e riviste mediche dotate di comitato scientifico;
- partecipazione a convegni inerenti la materia in qualità di responsabile scientifico o di relatore;
- effettuazione di attività didattiche, anche non continuative negli ultimi 5 anni, sulla materia in corsi universitari o in corsi di formazione e/o aggiornamento per medici veterinari
- attestazione (certificazione) di pratica clinica nella materia, effettuata in una struttura pubblica e/o privata, per almeno 3 anni, rilasciata dal direttore e/o dal responsabile della struttura stessa. Lo svolgimento delle attività sopradescritte dovrà essere documentato dagli enti erogatori.Alt. Fermiamoci un attimo e ricapitoliamo.
La Scuola di specializzazione all’interno della Facoltà di Medicina Veterinaria – sempre fino a prova contraria – in Italia non esiste.
Se esiste una Scuola di formazione con i criteri citati dalla FNOVI, non capiamo perché nessuno l’abbia citata con nome e indirizzo nelle varie repliche all’articolo di Bonanno (perché hanno replicato praticamente tutti, dalle già citate associazioni di veterinari alla FICCS, Federazione Italiana Cinofilia Sport e Soccorso).
Vogliono forse mantenere il segreto?
Nel caso un medico veterinario non possa fruire né di una scuola di specializzazione, né di una scuola di formazione, pare che possa comunque definirsi “comportamentalista” se effettua attività didattiche di medicina comportamentale (cioè? Deve insegnare una materia per la quale non è ancora stato formato? Fatemi capire), se segue convegni o seminari o, se proprio non ha modo di fare neanche questo, se ha pubblicato qualcosa o fatto pratica clinica… sempre su una materia nella quale non è stato formato!?!

Più ci si addentra nella materia, più l’intreccio si infittisce.
Pare, infatti, di poter concludere che un veterinario comportamentalista o si autodefinisce tale (e quindi è…sedicente!) o viene definito tale da qualche misteriosa entità sulla quale la FNOVI sembra voler mantenere il segreto.
Ma…colpo di scena!
Questa misteriosa entità è rivelata invece dalla replica dell’ANMVI, che spiega: “I medici veterinari esperti in comportamento animale – oltre ad essere medici veterinari abilitati dallo Stato italiano – sono riconosciuti …(omissis)… alle valutazioni/terapie di natura comportamentale, riconosciute come “atto medico veterinario”, dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Veterinari Italiani e dalla Federazione dei Veterinari Europei”.
Dunque, la misteriosa entità è proprio la FNOVI!
E se mai c’è stato un cane che si morde la coda (passatemi il gioco di parole), mi pare che sia proprio questo.

L’ANMVI precisa, inoltre, che “il titolo di medico veterinario esperto in medicina comportamentale è una qualifica conseguibile solo a seguito di un comprovato percorso di formazione. Anche la prestazione di carattere medico comportamentale, come tutte le prestazioni veterinarie, quando non eseguita dal medico veterinario configura il reato penale di esercizio abusivo della professione“.

Tutto molto, ma MOLTO autoreferenziale, direi.
Ce la cantiamo, ce la suoniamo, decidiamo noi chi è un comportamentalista e chi no… e se qualcuno prova a fare lo stesso lavoro senza la nostra benedizione è pure perseguibile per legge.
Certo, se si autodefinisce “medico”, non c’è alcun dubbio che commetta un reato: ma se si definisce solo “comportamentalista”, senza “medico” davanti, dubito seriamente che possa essere tacciato di alcunché…se non di essere un altro “sedicente“… non troppo diverso, però, dai medici veterinari di cui sopra: che “esperti” possono anche tranquillamente definirsi (ma ha ragione Bonanno quando dice che sarebbero tenuti a provare di esserlo!), ma “specialisti”, per le ragioni già viste, no.

Detto tutto questo… è vero o no che i veterinari comportamentalisti non sono attendibili né affidabili?
E soprattutto, le alternative quali sarebbero?

Alla prima domanda non mi sento di rispondere né sì, né no: dipende.
Certo, se un medico viene definito “comportamentalista” perché si è letto un paio di libri o perché ha seguito un seminario, tutta ‘sta fiducia non gliela accrediterei. Però conosco diversi veterinari che si sono smazzati per anni informandosi su tutto lo scibile comportamentalistico, sbattendo il naso nei casi più disparati e (solitamente per prove ed errori, perché comunque TUTTA la psicologia – compresa quella umana – funziona un po’ così) sono riusciti a farsi una bella esperienza e se non altro, quando affrontano un nuovo caso, sanno di cosa stanno parlando. Conosco molti veterinari che nel loro lavoro – come scrive anche l’ANMVI – si fanno affiancare da educatori ed addestratori e insieme cercano di risolvere i problemi più seri: casualmente, sempre taaaaanti anni fa, io sono stata proprio una di questi addestratori. E guarda caso, uno dei veterinari che ho affiancato è oggi il Presidente della stessa SISCA.
A giudicare da quanto ne sapeva già allora, proprio agli albori-alborissimi di questa particolare scienza, e contando tutti gli anni che sono passati (troppi, maledizione!) presumo che oggi quel veterinario debba sapere per forza quello che fa: e se fosse lui a decretare che un altro vet è un “esperto”, credo proprio che gli darei fiducia.
Però…siamo sempre lì: sarebbe una fiducia legata alla conoscenza personale e non a un vero accredito “ufficiale”. Che evidentemente manca. Quindi credo che sarebbe davvero opportuno mettere una bella pezza su questa lacuna… magari andando proprio in Europa a procurarsi gli esperti “accreditati”.
L’importante è che non si vada in America, dove la terapia comportamentale è diventata un business gestito da totali incompetenti, ignoranti e insensibili, come dimostrano gli orrori di cui abbiamo parlato, per esempio, in questo articolo (purtroppo la dottoressa che appare nel filmato è autrice di testi che mi dicono far parte della biblioteca dei veterinari di oggi: posso solo sperare che questa notizia non sia vera).

Ma adesso veniamo alle alternative: che sarebbero, stando all’articolo di Bonanno, “i giudici specialisti il cui Albo riconosciuto, altre che dall’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana e dalla Federazione Cinologica Internazionale, anche dallo Stato italiano“.
E qui, perdonatemi, ma mi scappa davvero da ridere: ancor più di quanto non mi scappi leggendo il mirror climbing con cui i veterinari hanno cercato di difendersi dall’infamante accusa di “sedicenti” comportamentalisti.
In base a cosa un Giudice dovrebbe saper individuare una etopatia? In base allo Standard? Mi auguro proprio di no, visto che la stragrande maggioranza degli Standard, al carattere, riserva due righe in croce, generiche e spesso lontanissime dalla realtà dei fatti.
In base alle prove di lavoro?
Andremmo già meglio, se non fosse per il fatto che i cani sottoposti a prova di lavoro sono solo una minima parte dei cani di pura razza, e che ovviamente queste prove non toccano minimamente i meticci (che però sono pur sempre cani, e che si stanno diffondendo sempre di più tra le famiglie italiane).
Purtroppo la FNOVI, nella sua replica, dice una cosa molto vera, quando sostiene che alcune etopatie sarebbero “mantenute dalla selezione”: è un dannatissimo dato di fatto che oggi la selezione interessi ESCLUSIVAMENTE la bellezza e che, in nome di questa, vengano messi in riproduzione cani con gravissime lacune caratteriali.
Mi oppongo invece con forza alla seconda affermazione della FNOVI, quella secondo cui i cani “avviati alla difesa e agli attacchi per “migliorare la sicurezza di sé” sarebbero “diventati pericolosi” in “non pochi casi”.
Qui esigo nomi, cognomi e indirizzi: dei cani, dei proprietari e pure degli addestratori… perché a me risulta invece che questi casi non soltanto siano rarissimi, ma siano anche SEMPRE E SOLO riconducibili ai soliti noti, ovvero ai veri e propri “macellai” del mondo dell’addestramento, ben noti a tutti i cinofili sportivi (che però si guardano bene dal parlarne ad alta voce).
In ogni caso, se i cani “diventati pericolosi” sono davvero MOLTO pochi, i cani palesemente maltrattati per ottenere quattro punti in più sono invece tanti, troppi, troppissimi: e mi piacerebbe sapere perché l’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana, la Federazione Cinologica Internazionale e anche lo Stato italiano, già che ci siamo, non abbiano MAI mosso un dito per eliminarli dalla faccia della cinofilia italiana.
E lo stesso vale, purtroppo, per i Giudici specialisti appartenenti al tanto prestigioso Albo.
Anche in questo caso, dunque, ci sono Giudici specialisti (e figuranti ENCI, e addestratori “col bollino blu” dell’ENCI) a cui mi affiderei con la massima fiducia nel caso dovessi risolvere un problema comportamentale del mio cane…ma ce ne sono altrettanti ai quali non mi avvicinerei a meno di cento metri (e il cane, probabilmente, lo terrei a centocinquanta).

Conclusioni?
Una sola, mi pare: non esiste, in Italia, alcuna figura professionale a cui potersi affidare ad occhi chiusi, certi che abbia alle spalle una preparazione non solo certificata, ma anche in grado di offrire garanzie di vera competenza, serietà e rispetto per gli animali.
Non sono completamente credibili i veterinari comportamentalisti (sedicenti o meno che siano), non sono completamente credibili addestratori né giudici ENCI. C’è una grandissima confusione nella quale, tra l’altro, sguazzano felicemente figure di nessunissimo rilievo professionale, ma che per l’una o l’altra via sono diventati docenti, istruttori, guru…o tutte e tre le cose assieme.

Il mondo del comportamentalismo, insomma, è UN GRANDE CAOS nel quale si deve semplicemente “sperare” di beccare la figura giusta, senza che esista – al momento – alcuna credenziale davvero affidabile al cento per cento.
Esattamente la stessa cosa che accade per educatori, addestratori, allevatori e per tutte le figure professionali che ruotano intorno al pianeta cane… e per la solita, vecchia ragione: i cani non hanno voce in capitolo.
Non possono protestare, denunciare, incazzarsi (anzi, incazzarsi sì: ma se lo fanno, arrivano i bambolotti e le mani di plastica a decretarne la soppressione).
In questo caos generale, oggi come oggi, si salvano solo i singoli. Quelli che davvero si sbattono per imparare, conoscere, approfondire. Quelli davvero bravi. Ma trovarne uno è questione di pura fortuna.
Tutto il resto è fatto, come al solito, di tanto business, di tanti scanni (anche quando sarebbe forse un filino più opportuno un dialogo costruttivo) e di tante parole al vento… mentre i cani, come sempre, subiscono.

Repliche e chiarimenti saranno, come sempre, bene accetti.

 
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ValeIago
view post Posted on 1/3/2012, 18:01     +1   -1




Beh in effetti fanno bene i veterinari a prendersela.
Io direi che sarebbe davvero più giusto che questi 'comportamentalisti' prima di seguire una VERA SCUOLA, debbano prendere la laurea veterinaria.
Questa seguita appunto da corsi specializzati con tanto di rilascio di diplomi idonei per far si che si possano chiamare veterinari comportamentalisti :hmm.gif: :hmm.gif: :hmm.gif: :hmm.gif:
 
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ValeVet
icon7  view post Posted on 20/1/2013, 19:03     +1   -1




Sono una veterinaria che per 25 anni ha esercitato la libera professione come Medico Veterinario "di base" (passatemi il termine derivato dalla medicina umana) da tre anni mi interesso, con corsi, seminari, libri di alterazioni del comportamento di cani e gatti. Ho appena finito (DUE ANNI) il master di secondo livello in "Medicina Comportamentale del cane e del gatto" presso l'Universita di Pisa, trovate qualche motivo per cui non posso essere definita "Veterinario Comportamentalista"??
Non vorrei apparire polemica ma il figlio poco più che ventenne di una nostra cliente mi si è presentato come "esperto in comportamento ed educazione cinofila" dopo aver frequentato un corso di DUE GIORNI !
Non mi piace il protezionismo della categoria estremizzato ma pensare che il proprietario di un animale problematico possa essere indotto a credere che questo ragazzo ed io possiamo avere le stesse competenze.........scusate ma è una S.......a :angry:
 
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2 replies since 24/2/2012, 20:49   296 views
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